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mercoledì, Giugno 7, 2023

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Caparezza e la prigione dell’Io – Recensione “Prisoners 709”

di Giuseppe Santoro

­­Scrivere questo articolo non è cosa semplice, dato che per comprendere le mille e più sfaccettature che compongono un album di Caparezza ci vuole del tempo.

Non è facile altresì scriverne perché sono un suo grande estimatore praticamente dal primo cd e credo che la genialità insita nella maggior parte dei suoi testi non possa essere recepita da tutti gli uditori e di conseguenza anch’io che sono uno qualunque, al primo ascolto, trovo difficoltà. Per citare all’incontrario una frase del Batman di Cristopher Nolan, credo che Caparezza sia l’autore che l’Italia non merita ma quello di cui ha avuto bisogno in questi anni.

Si, perché negli anni che vanno dal 2000 al 2010, quando ancora la lotta alla casta politica, ai privilegi e l’opposizione all’establishment non erano così presenti come adesso, una delle poche voci fuori dal coro della musica italiana piegata al commercio e alle canzoni senza un chicco di critica sociale, è stata quella di Michele Salvemini.

caparezza

Oggi il rappautore molfettese è cresciuto ed è cambiato e con lui la società intorno. L’artista (nel suo caso la definizione non è scritta a caso) nel nuovo lavoro “Prisoners 709” si è messo a nudo come mai aveva fatto prima, cantando più di se stesso e del suo “io” che della società nella quale viviamo.

Nell’album precedente si avvertiva una virata verso argomenti meno intrisi di polemica politica e tendenti più a creare un concept. Già nel 2011 “Il sogno eretico” aveva affrontato in molteplici forme il solo concetto di eresia ma è con “Museica” del 2014, che Michele ha spiazzato tutti i suoi seguaci, suonando di Arte in senso stretto(anche se con riferimenti all’attualità), andando a creare un beat su Giotto e a parlare con la musica delle Teste di Modì. Arrivando al 2017, ci troviamo di fronte all’ennesimo cambio di rotta perché, ormai si sa, Caparezza odia ripetersi.

caparezza
Copertina dell’album

Ecco quindi “Prisoners 709”.

«Sono appassionato di numerologia: se al numero 709 del titolo del disco togli i miei 43 anni d’età, ottieni 666, sono diabolico… »
(Caparezza, Presentazione del disco alla Fabbrica Orobia – come da nostro articolo –  14 settembre 2017).

Quest’ultimo è anche il suo settimo album ma anche il nono se si conta la misera produzione creata con lo pseudonimo di Miky Mix negli anni 90. Un periodo che Caparezza giustamente non rinnega perché lo ha portato ad essere il sé stesso odierno. Sempre continuando a giocare con la cabala, sette sono le lettere che compongono il nome Michele mentre nove sono quelle dell’alter ego Caparezza.

Tra i due chi vincerà?

Il disco è intriso di una musica molto cupa, che segue lo stile crossover degli anni 80 ( si ascolti per esempio La caduta di Atlante) e che in questo caso è decisamente azzeccata per dare la possibilità al Capa di affrontare i suoi fantasmi, primo fra tutti l’acufene. In Larsen l’artista racconta di convivere da anni con questo problema che non ha soluzioni a parte una: conviverci.

Il disco si apre con Prosopagnosia uno sfogo strepitoso che lascia subito abbastanza storditi; accompagnato da John De Leo, al secolo Massimo De Leonardis, cofondatore dei Quintorigo, Caparezza snocciola il suo malessere e il problema di non riconoscersi più, nemmeno rispetto al vissuto dell’attimo precedente. De Leo torna poi con la sua voce metallica anche in Minimoog, pezzo che dura poco e sembra un cupo flusso di coscienza.

Il primo video uscito è anche la traccia che dà il titolo al disco. Un pezzo che esplica benissimo il problema contemporaneo del mondo musicale, ovvero quello di essere tutti dei numeri e avere paura degli stessi, intesi come like su facebook, iscritti o views su un canale. È a questo punto che la musica diventa solo un mero contorno e finisce in secondo piano. La canzone è anche un riferimento critico alla prigione in cui sono costretti gli artisti da quando non si vendono più copie fisiche di un cd.

caparezza

Due altre collaborazioni importanti presenti nel disco sono quelle con Max Gazzè per Migliora la tua memoria con un click, pezzo che strizza l’occhio all’elettronica ma al contempo contraddice il concetto di modernità definendolo di plastica, e il rap risoluto di Forever Jung, dove il padre della psicanalisi Carl Gustav Jung diventa parte integrante della storia dell’hip hop, genere qui personificato e magistralmente interpretato da DMC.

Il genio agnostico di Michele Salvemini tocca vette autoriali incredibili in Confusianesimo, canzone che ci pone di fronte al secolare e noioso tema della scelta religiosa, risolto nel modo più semplice, ironico e quindi insolito: credere a tutte le religioni.

Una chiave è uno dei due inni pop involontari del disco; in questa canzone il nostro sembra parlare ad un ragazzo di oggi che gli somigliava ma forse non gli somiglia più. È simile al Michele di tanto tempo fa che sul soffitto vedeva stelle e pianeti e cercava fortuna nella musica. Un tenero incitamento a non mollare mai. Bellissimo testo.

L’altro momento di melodia più orecchiabile ma assolutamente non banale è il singolo appena uscito Ti fa stare bene. Caparezza qui è commerciale rimanendo sincero e fedele a sé stesso e alle sue idee. Il ritornello lo cantano i bambini perché gli adulti certe cose non le pensano più.

In Sogno di Potere, parlando di sé ci dice: “Tutti mi vogliono risolutivo, ed è una tragedia, perché io sono come un ladro al Brico, “Frega una sega”. Una rima che altri autori si sognano e che vale triplo perché ironica, significativa e geniale.

L’uomo che premette è una riuscita panoramica che l’autore fa di molti individui che prima di affermare un’idiozia premettono il contrario. Sono intorno a noi, in mezzo a noi e in molti casi siamo noi diceva un altro grande rappautore e l’uomo che premette purtroppo finisce spesso per premere il grilletto.

La prigione dell’io nella quale Caparezza è rinchiuso è quella con cui tutti dobbiamo fare i conti. A questo proposito il disco si chiude con Prosopagno Sia!: solo attraverso l’accettazione di noi stessi possiamo uscire dalla gabbia mentale di cui siamo prigionieri.

caparezza

Con Prisoners 709, i tanti mostri che abitavano la testa riccia più famosa della musica italiana sono stati almeno momentaneamente sconfitti e sono venute fuori sedici tracce magnifiche, poiché pensate dalla prima all’ultima lettera, dalla prima all’ultima nota, in un modo che non siamo più abituati ad ascoltare. Caparezza sta scrivendo pagine importanti non solo della musica, ma in generale dell’arte italiana contemporanea e molti fanno finta di non accorgersene.
In segno di protesta spegniamo Spotify e accendiamo l’hi-fi.

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