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mercoledì, Novembre 29, 2023

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Hello Vinile! Bye bye streaming? Sony, Spotify e Facebook preparano una rivoluzione?

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di Stefano De Maco

Hello Vinile, Bye Bye Streaming? Sony Music ha riaperto lo stabilimento per stampare vinili; Spotify ruba un esperto in AI (Intelligenza artificiale) a Sony per la creazione di Musica Artificiale, sta aprendo un etichetta propria e vuole quotarsi in Borsa a New York; Facebook sta cercando figure professionali che si occupino degli aspetti legali del Music Licensing…

Tre notizie incrociate che delineano una tendenza, cioè lo sviluppo digitale e il ritorno prepotente del vinile. Il risveglio dell’Analogico contro il Digitale in tutte le sue declinazioni.

Una vecchia favola racconta che nella gara tra la volpe e la tartaruga, vince la seconda. Incredibile eh?

vinile

Vinile is back!

Ok ecco le tre notizie che secondo me hanno un grande legame tra loro. La prima, di cui potete leggere l’articolo qui, è già di per sè sintomatica, visto che siamo nell’era del digitale, dello streaming che ha battuto il downloading. Cosa significa secondo voi? Semplicemente che si sta delineando una spaccatura tra la Musica Di Consumo e la Musica Di Spessore. La prima è furba come una volpe e spesso pure ruffiana, schizza velocemente in classifica in poche settimane. La seconda è come la tartaruga, fa più fatica a farsi largo tra i consensi, bombardati come sono da una pletora di offerte. Ma sulla distanza vince. E ora ritorna anche come mezzo di vendita sempre meno di nicchia. Perché se ci pensate bene, per cosa saremmo disposti a spendere i nostri (sempre meno) soldi: per qualcosa che vale o per qualcosa che si consuma subito?

Tralascio qualsiasi analisi antropologica e sociale. Faccio i conti della serva, piuttosto. Innanzitutto un file in streaming o in mp3 non si possono toccare. Sono invisibili. Col tempo ci hanno fatto perdere il senso del loro valore, del lavoro che c’è dietro ad un oggetto. Hanno l’indubbio vantaggio che sono facilmente trasportabili, come un tempo lo erano le musicassette, che pure erano reali. Vi ricordate le primissime compilation casalinghe che si preparavano in vista dei viaggi verso le vacanze? Ecco (Nota per i Millenials), quelle erano le nonne delle odierne playlist. 60 o 90 minuti di musica divisa in due lati, zero possibilità di editing. Delicate, su rovinavano nel cruscotto delle macchine alterando i suoni. Adesso non c’è smartphone che non ci permetta di crearci #playlist cambiando ordine dei brani, aggiungendo e cancellandoli secondo l’umore.

E arriviamo ai #vinili dei quali io ricordo ancora il senso quasi mistico dell’apertura, la cura con cui si ponevano sul giradischi, la pulizia dei solchi, il rispetto per un oggetto che ci era costato risparmi. E che custodivamo con gelosia. Di cui leggevamo le copertine, degni di grafici bravissimi, scorrendo i testi, vedendo le foto. Potete farlo con un mp3? E chi ne ha tempo? Così calcati nella metro, spesso ci isolano dal mondo intorno. Mentre il vinile aggregava i ragazzi nei pomeriggi. Nessuna nostalgia, sia chiaro. Non me ne frega nulla. Osservo solamente. E la cura necessaria nei missaggi? Adesso per i fonici c’è molto aiuto di algoritmi… una volta l’unico algoritmo era l’orecchio. E molti di quei #vinili ancora ce li abbiamo. In qualità originale perché non sono compressi come gli mp3. Anni fa mi capitò di sentire un album di Peter Gabriel prima in formato mp3 e poi in formato wav. Una differenza abissale. Ma mi chiedo, esistono orecchie educate a percepirne la differenza? Certo, se devo sentire Barbie Girl o Despacito poco importano queste finezze, gli scopi sono altri. Ma se devo sentire James Brown o The Dark Side Of The Moon importa eccome. Infatti dei primi ho gli mp3, dei secondi ho i vinili. Chissà perchè?

Ah ma scusate, in tutto questo, il CD che negli anni ’80 ha cacciato a pedate il vinile dov’è finito?

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Spotify e le fake-playlist

Recentemente il colosso svedese ha dovuto rivedere i contratti con le major per ridiscutere le percentuali sui ricavi per i diritti musicali. Da una posizione di partenza iniziale debolissima, che le ha fruttato percentuali minori da start up, ora invece essendo cresciuta, deve renderne conto. Con il considerevole peso però che ha acquisito, creando anche fake-playlist in cui dirottare gli utenti, auto alimentandosi così.

Nomi sconosciuti, senza tracce nella rete, che fanno il botto, fanno venire il sospetto che siano bolle speculative per tirare su numeri in vista di obiettivi futuri, quali la creazione di etichette e alla quasi sicura quotazione in borsa a New York il prossimo autunno. E tutti che pensano siano sconosciuti artisti casalinghi…

Wow, direte, la rivincita degli home recording artist. Balle. Quanto piuttosto lo strisciante tentativo, dato che gratta gratta molte produzioni sono svedesi, di creare una sorta di mercato parallelo off-label, cioè svincolato dalle major, alle quali bene o male il colosso svedese è tenuto a pagare le royalties.

Quale sarebbe il possibile scenario?

Ho già accennato tempo fa che esattamente come è successo per le Radio quando hanno creato proprie etichette discografiche per auto alimentarsi e manovrare il mercato, così succederà per gli operatori di musica in streaming. Un’artista firmerà direttamente con spotify deezer apple… vattelapesca, e poi darà in licenza alle vecchie case discografiche la distribuzione fisica e packaging. Invertendo di 180 gradi il flusso e la gestione dei diritti annessi e connessi, ivi compresa la sincronizzazione, che al presente, è ancora la voce più redditizia. Spariranno gli abbonamenti Freemium, tipo Spotify, perché non rendono assolutamente nulla, e saranno loro stessi, una volta raccolti i clienti gonzi, a costringe gli stessi con melliflue tecniche di marketing a pagare un obolo mensile, a fronte poi di chissà quali preview o benefit. Per gli Artisti può essere una manna, vedi il caso U2 che grazie agli accordi con Apple Music, incassarono subito una “paccata” di anticipo col trucchetto del download gratis per gli utenti della “Mela Morsicata”. Tutti a pensare alla generosità di Bono &Co. senza pensare invece al vero senso dell’operazione commerciale. Non escludo che si possano poi creare joint-venture con le case di produzioni multimediali per futuri format di Talent, in formati streaming audio o video, che serviranno da serbatoio. Magari il prossimo X-factor sarà su Netflix? Ovviamente da guardare sugli smartphone, mentre la tv la lasceremo ai nonni.

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Facebook e i diritti musicali

È ancora in sordina, ma da un po’ di tempo la questione dei diritti e relative riscossioni sta pressando i due colossi, Facebook e Youtube. Della seconda sono mesi che si vocifera un canale dedicato alla musica (Youtube Red), mentre Zuckenberg e soci hanno assunto ben 3 dirigenti per il settore legale del Music Licensing.

Secondo quanto riporta la testata Music Business Worldwide

questo ruolo porterà la strategia di Facebook alla negoziazione dei servizi di musica digitale, sia nelle collaborazioni, sia nei prodotti, media partnership, collaborazioni di piattaforme per assicurare e coordinare un migliore servizio ed approccio“.

Apple dal canto suo sta cercando figure che possa occuparsi delle questioni inerenti ai contratti editoriali per la sua piattaforma AppleMusic. Invece Soundcloud è a rischio chiusura perchè non genera profitti, pur essendo una nobilissima idea di condivisione e diffusione…

Tutto questo cosa vi suggerisce? Che mentre ci bombardano di novità, dietro le quinte stanno preparando la RIVOLUZIONE. Ma non quella che parte dal popolo, bensì dai tavoli dei Consigli Di Amministrazione. Che è molto peggio di uno tsunami. Perché quei tavoli non hanno passione, ma solo il cinismo del Profitto Infinito.

Non hanno una visione, come poteva avercela Clive Davis (Motown), Richard Branson (Virgin), Nanni Ricordi o i discografici di razza di una volta, di cui Alberto Salerno scrive. I Consigli di Amministrazione e i CEO, guardano solo grafici, rendiconti. Vanno dove li porta il soldo. Tutte le Case Discografiche che hanno fatto la Storia Della Musica, invece, sono nate per la passione, e alcune sono crollate per la mancanza di una inadeguata capacità di gestire e strutturare una crescita. Hanno avuto mille difetti, certamente. E hanno pagato un prezzo molto alto: la quasi totale estinzione. Legge della evoluzione, dirà qualcuno, chi non ce la fa, soccombe. È successo anche ai dinosauri, complice un meteorite, pare. E il nostro meteorite non è assolutamente Internet, ma la nostra apatia e pigrizia culturale. Occhio!

Chiedo scusa per questa lunga “spataffiata”, in cui ho cercato di raccogliere considerazioni che queste 3 notizie mi hanno generato da giorni e che secondo me sono legate tra loro più di. Quanto si creda. E adesso, esco con le cuffie in testa e David Bowie nelle orecchie.

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