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sabato, Marzo 25, 2023

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#GayPride: questione di diritti? no, di rispetto!

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di Stefano De Maco

Un altro #GayPride multicolore per l’ennesima volta crea polemiche. Pro e Contro, gruppi di preghiera contro carri rumorosi. Tutto fa rumore, basta che se ne parli. La parola #diritticivili diventa un hashtag usato come il prezzemolo, messo un po’ dappertutto. A ragione o meno, icona di un percorso sociale sacrosanto che finalmente ha creato una legge, che seppure zoppa, ha riconosciuto un dato di fatto: il #diritto di amarsi e di scegliersi. Ma ora è anche tempo di andare oltre.
Forse è tempo di parlare di #rispetto.

Il #rispetto non è una cosa astratta, bensì un sentimento che ci si deve conquistare giorno per giorno, persona per persona, basato sulla credibilità. Il rispetto è un atteggiamento morale, basato sulla coerenza; non è sancito da una legge, sebbene la Legge meriti rispetto in sé. L’emancipazione porta a riconoscere le differenze ma senza volerne la supremazia di una rispetto all’altra. Si chiama convivenza. Non ha senso pretendere il rispetto se per primi non si è in grado di darlo. Altrimenti si apre la strada del sopruso, giustificandolo con le teorie retoriche più bieche. Purtroppo l’immagine mediatica del #GayPride è solo quella degli estremi, delle parrucche, dei corpi seminudi sudati per le birre e la musica a 130bpm che si balla sui carri e sulle strade. Viene da pensare ad una carnevalata, liberatoria quanto si vuole, ma pur sempre esagerata. Anche se i motivi storici sono ben altri. La parola #Stonewall ad esempio è quasi del tutto sconosciuta alle nuove generazioni che oggi possono scendere in strada e vivere la propria identità e diversità. I moti di #Stonewall furono all’origine di quello che oggi si celebra nel #GayPride, quando cioè la comunità Gay di New York si ribellò alla protervia della Polizia per l’ennesima irruzione ingiustificata in un locale per omosessuali, appunto lo Stonewall. Lì la parola diritto non si poteva ancora pronunciare, benchè la marcia di Luther King fosse passata da un decennio appena. Gli omosessuali vivevano ancora nascosti, la paura era il cielo plumbeo sotto il quale vivere. L’affettività non veniva nemmeno considerata come valore, se non come ricciolo romantico in caste storie cinematografiche prive di riferimenti espliciti. Da lì la serie di banalità e luoghi comuni. La presunta e scontata sensibilità e gusto estetico, fino alle mossette patetiche che destavano ilarità. Far ridere per farsi accettare. Non certo il dramma umano che si respira ad esempio nella pellicola Miserie e splendori di Madame Royale, dove un meraviglioso Ugo Tognazzi, anni prima delle pittoresche scene del Vizietto, interpretava il personaggio di un omosessuale con la grande colpa di non essere più giovane, ma ancora ricco di sentimenti e tormenti. E sfruttato da un commissario cinico per le sue indagini. La cinematografia grazie al cielo offre anche punti di vista più reali e sinceri, che possono tranquillamente convivere con le macchiette da cassetta, ovviamente. Ma non riduciamo tutto a una parrucca. Troppo comodo, sia per chi marcia, sia per chi critica. In tempi in cui il dibattito sull’omofobia prende pieghe sempre più contorte, domandandosi dove finisca il lecito dissenso e dove cominci il pregiudizio offensivo, io vorrei sentire parlare più di rispetto che di diritto, i tempi sono maturi per una crescita culturale.

L’omicidio di Pierpaolo Pasolini (chi era costui? Leggi qui), relegato in un farlocco fatto di cronaca nera, a suo tempo ha dimostrato che nemmeno la tanto celebrata Sinistra ha preso sinceramente a cuore il tema. Anzi. In tutti i regimi di matrice comunista l’omosessualità è stata perseguita e punitaNon ha senso quindi dare un colore politico alla marcia dell’emancipazione gay. La Polverini (ex Governatore della Regione Lazio) rivendicando il suo diritto di sostenere la Marcia, ieri affermava che non è appannaggio della Sinistra schierarsi a favore del #GayPride. Ma sento puzza di ruffianeria politica e calcolo elettorale. In ogni caso, nessuno può legittimamente indossare la bandiera arcobaleno per meri fini di marketing. Né Vladimir Luxuria coi suoi giri di perle e tailleur da signora borghese, né Mario Adinolfi e i suoi accoliti, che quella bandiera invece vorrebbe stracciarla e bruciarla come un feticcio diabolico. Forse è più onesta la maschera baraccona di Platinette, esagerata nella forma, ma tagliente nei contenuti. Non mi interessa gettare pietre su chi si riunisce per pregare per i peccati di chi vive (secondo loro) contro natura, né la mania morbosa di conoscere intimità altrui, accusando di doppia vita chi vive già una dicotomia interiore di per sé dannante. Il rispetto si conquista ogni giorno, in un pride silenzioso ma tenace, nell’essere ciò che si è senza vergogna e senza bisogno di chiedere permesso. E pure il rispetto va riconosciuto anche a chi ci critica per la chiassosità dei carri in sfilata e dello stile di vita. (perché, appartiene solo ai gay?!).

Come per la non violenza di Gandhi, dovremmo essere noi a cominciare a cambiare le cose. Partecipando pure al triccheballacche del Pride, ma senza dimenticarci di vivere ogni giorno quello che siamo. Senza ruffianerieLouis Armstrong  non vedeva di buon occhio il desiderio di emancipazione di Luther King, ammettendo non tanto la legittimità, quando la realtà della segregazione, come immutabile. Apparteneva ad una cultura (=visione del mondo) che non avrebbero cambiato il presente. Poi le cose sono andate come sono andate. E questo discorso si può benissimo applicare al rispetto verso le donne, e da parte loro verso gli uomini, verso gli operai da parte degli imprenditori, e di questi nei confronti degli operai, verso i malati terminali, i disabili e via dicendo con esempi infiniti. Ma ci vuole coraggio, non da richiedere agli altri, ma da richiedere a noi stessi.
Il rispetto più grande e difficile, il rispetto di sé.

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