UnicoStampo è una band romana che ha da poco debuttato con l’album Anime restanti. Se da una parte si tratta di un esordio, per la verità, Fabio Massimo Colasanti e Danilo Cioni – fondatori del gruppo – non sono certo nuovi all’ambiente musicale. Tutt’altro… ed è sufficiente citare le collaborazioni del primo con Pino Daniele, Gianluca Grignani e Giorgia per capirne la caratura… mica gente qualunque, insomma.
Le atmosfere rock e graffianti che i due professionisti plasmano insieme a Cristiano Micalizzi alla batteria e Francesco Luzzio al basso aleggiano in un mondo sospeso tra il surreale e l’incubo. A popolare questa terra di mezzo ecco avanzare, traccia dopo traccia, figure insolite, aliene e selvagge, come a raccontare un mondo alternativo di creature umanoidi.
Per nulla accomodanti quanto invece percorsi da un’inquietudine tormentata, i brani degli UnicoStampo spalancano le porte su certi abissi dell’inconscio dai quali, solitamente, rifuggiamo. E il chiaroscuro dei suoni e dei videoclip domina tagliente in un’estetica d’ispirazione orientale nella quale neppure il colore è rassicurante; il candore, quindi, si tinge di rosso sangue e nel buio s’innalzano fiamme.
Tra la ricerca affannata di una via d’uscita e la speranza del risveglio: è qui che si muovono le Anime restanti. Ma chi sono davvero e che cosa vanno cercando? Lo abbiamo chiesto direttamente a Fabio Massimo Colasanti.


A maggio con gli UnicoStampo hai pubblicato il primo disco: ci presenti queste Anime restanti? Insomma, chi sono e che cosa hanno da dirci?
Se lo sapessi! No, beh, questo è un progetto che nasce un po’ di tempo fa. Ho conosciuto e sentito suonare Danilo, il cantante che poi è colui che scrive anche le canzoni, circa quindici/vent’anni fa in un locale e siccome avevo sentito diverse cose di lui, gli ho chiesto di lavorare assieme. Da lì abbiamo iniziato un lungo percorso durante il quale abbiamo realizzato una quarantina di demo; era il periodo in cui lavoravo con Pino Daniele ed entrambi avevamo poco tempo a disposizione. Così i nostri pezzi erano rimasti in una fase di incubazione, lenta come la fabbrica di S.Pietro: non finiva mai!
E che cosa ha fatto scattare la scintilla che ha portato all’album?
La svolta è arrivata con un viaggio in Giappone: abbiamo scoperto un paese folle, in cui la gente del posto è in giacca e cravatta già alla mattina ma la notte è come Gomorra e Blade Runner! Siamo tornati un po’ straniti ma anche incuriositi dagli estremi di cui si vive laggiù, da una parte la perfezione dall’altra la follia pura. Risentendo il materiale che avevamo, vi ho ritrovato una doppia anima; infatti, nelle nove tracce che abbiamo raccolto poi nel disco c’è una parte molto melodica e lenta e poi c’è la parte folle. Ho tolto tutto ciò che stava nel mezzo e sono rimasti gli estremi, sono rimaste le “anime restanti”. Sono restanti in questo senso, anche perché un progetto del genere non ha senso: se tu venissi da me e mi chiedessi di iniziare a lavorare a un progetto come quello che abbiamo realizzato noi, facendo i conti ti risponderei che non si può fare perché è un lavoro che come mezzi, realizzazione e risorse oggi non produrrebbe più nessuno. Io l’ho fatto applicando l’algoritmo che usavo con Pino, della serie un anno di studio, strumenti, musicisti… anche per questo sarebbe difficile ricreare un lavoro di questo tipo. Fortunatamente avevo il mio background e l’ho riversato tutto negli UnicoStampo Mi sono divertito, un po’ come se fossi tornato indietro; sono stato fortunato a poterlo fare.
Quindi, questo album è più un punto di arrivo o un punto di partenza per te?
È entrambe le cose. Diciamo che è un punto di arrivo perché riassume vent’anni di lavoro in studio e più trenta per quanto riguarda la preparazione e la produzione; però, paradossalmente, sul piano musicale ho ricominciato perché l’approccio è strutturato ma poi ho fatto come mi pareva! Anche se si tratta del primo disco – per il quale si cerca di solito di spendere poco – alla fine ho fatto quello che mi piaceva.
Tornando al Giappone, anche graficamente l’iconografia mescola l’Oriente a simbolismi che sono vagamente inquietanti: come avete lavorato proprio sull’immagine?
C’è una forte componente onirica che è emersa nel percorso e fa parte del modo di scrivere di Daniele; questo si unisce alla mia parte dark e il risultato è sulla copertina di Anime restanti, un’immagine tratta dal nostro videoclip, in cu visivamente gli estremi cromatici toccano. E alla fine chi guarda si sente perso, disorientato, non capisce più niente. Questo vale sia per Così diversi sia per Sono qui, per cui la clip sembra mostrare il candore della bambina protagonista ma poi si trasforma in altro.
Ecco, proprio parlando di trasformazione: è corretta l’impressione che più che di una metamorfosi si tratti sempre di una compresenza degli estremi?
È una convivenza , esattamente, non è una metamorfosi. Sai, da bambino non te ne rendi conto, la protagonista del video è una bambina, ma in verità ha già dentro sé una doppia anima, è dottor Jekyll e Mr. Hyde che convivono da sempre. Non è un fatto di scelta, tendenzialmente non puoi farci nulla: sei così e devi imparare ad accettare le due personalità e gestirle con tutte le forze interne che possono scaturirne. E gestire gli estremi non è facile.
In che modo, quindi, l’immagine dei videoclip integra le vostri canzoni?
Noi lavoriamo con Davide Bastolla da sempre, è la componente estetica del gruppo: realizza i video come noi facciamo la musica. Per il videoclip ognuno ha dato il proprio input, io ho spinto da una parte lui ha spinto da un’altra; se senti il pezzo parla proprio di una separazione, il testo sembra essere quello di una canzone d’amore ma è una richiesta di aiuto. Abbiamo cercato di spiegare perché c’è bisogno di questo aiuto.
Il secondo video, quello di Sono qui, è ancora più cinematografico; la canzone parla della violenza che scaturisce dalla noia, intesa come solitudine da cui la protagonista cerca di uscire in modo violento, quasi fosse uno stupro. Nella retrovia della scrittura c’è un continuo movimento tra il bene e il male, c’è qualcosa che bolle dentro e che non riesce a venire fuori, che non si risolve e che è difficile da gestire. Ecco allora che l’angelo in realtà ha gli occhi del demonio.
E la sensazione persecutoria che ricorre da dove nasce?
Mah. Non lo so, probabilmente deriva dal fatto che le “anime restanti” vivono la consapevolezza di essere un po’ fuori posto come un disagio, non si sentono completamente dentro i tempi di oggi. Anche io, per esempio, musicalmente non riesco più a capire quello che succede attorno e non mi ritrovo più in ciò che sento alla radio. “Anime restanti” sembra una cosa eterea ma in realtà siamo noi che stiamo dall’altra parte, fuori dalla massa; questa condizione crea tensione.
Dopo un percorso solista importante, come e quando è nata la voglia di formare una band? Forse dalla voglia di sperimentare e divertirsi?
Sì, è nata proprio per questo. Quando ho iniziato io tanti anni fa, si prendeva la chitarra e si suonava in cantina, senza pensare se la radio avrebbe passato o meno i nostri pezzi. La musica era un fatto di espressione, una vera forma d’arte con i video pensati come oggetti unici; facevamo musica solo per il gusto di farlo e, da questo punto di vista, ho ricominciato da zero. Ovviamente ho tutto un know-how e un background che non posso dimenticare quindi, quando vado a sperimentare, faccio certe cose quasi in modo automatico. È così che si dovrebbe fare, secondo me, anche se ora non viene più fatto.
Quello che dici fa riferimento a un modo di pensare la musica assolutamente anticommerciale e antiradiofonico…
Esattamente. Certo, le aziende devono anche giustificare i propri investimenti e progetti già consolidati. Pensa che avevo fatto ascoltare il progetto ad alcuni discografici sentire mi dissero che sembrava il disco di una band al quindicesimo album; in realtà, è una band nuova e, per questo motivo, ho voluto riprendere in mano tutto e scarnificarlo per quanto possibile. Ero abituato a lavorare con Pino al limite della perfezione, chiaramente non posso, tutto a un tratto, produrre cose improvvisate pur di suonare in radio o vendere. Non funziona così.
Hai lavorato con Pino Daniele, Gianluca Grignani e Giorgia, impossibile non chiederti un ricordo o un aneddoto su ciascuno di loro…
Ma sai, Pino è stato la mia chiave di volta nel senso che ho trascorso tutta la mia carriera artistica al suo fianco e con lui ho fatto cose impensabili, mi sono trovato a suonare con musicisti che da ragazzino sentivo suonare. Mi ha trasmesso un metodo di lavoro che mira alla perfezione. Poi c’è Gianluca Grignani che, secondo me, è il vero rocker italiano; con lui, c’è un rapporto di amicizia che va al di là del lavoro e della stima professionale. Gianluca è così come lo vedi, è vero, nel bene e nel male. Poi ho lavorato con Giorgia, con cui ho scritto tre o quattro pezzi di “Mangio troppa cioccolata”; a lei va riconosciuto di essere stata la prima artista a portare in Italia uno stile e una vocalità precisi. È la migliore cantante che abbiamo.
Quali sono i progetti e magari anche i concerti in arrivo?
Dopo la presentazione del 17 maggio a Roma faremo un po’ di date sparpagliate e l’idea che ci piacerebbe realizzare è quella di proiettare i video anche dal vivo. Intanto, ne stiamo già preparando un altro. Sul palco posso assicurare che prevale un suono violento, molto molto duro. Preparatevi!
TRACKLIST
01. Sono qui
02. Così diversi
03. Dolcemente
04. La noia
05. Altomare
06. Ti risvegli
07. Egoista
08. Non puoi comprarmi
09. Sanguisughe


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