Pagando, si può tutto, anche resuscitare in una terra nuova.
Lo scorso novembre JS, gravemente malata, ha ottenuto dall’Alta Corte di Londra l’autorizzazione per essere ibernata dopo la morte, nella speranza che, in un lontano futuro, la medicina possa svegliarla e salvarla dal suo male. Chiedeva una chance ai giudici e l’ha avuta.
«Ho solo 14 anni e non voglio morire ma so che ciò accadrà».
Non voleva soprattutto finire sotto terra perché, sotto terra, anche lei lo sapeva, i vermi lasciano davvero poco alla scienza. E così se n’è andata, con l’unzione finale, nel freddo ghiacciato, confezionato per lei in una Terra lontana e sconosciuta: l’Arizona.
Li avesse visti, li avrebbe scambiati per angeli i medici in tuta bianca della Alcor, mentre preparavano per lei la capsula di vapore raffreddante e la adagiavano nella nube gassosa. I genitori, impazziti dal dolore, soffiavano sopra quel velo di gelo nell’ultimo e certamente più forte gesto d’amore. E li hanno visti andare via, gli angeli del ghiaccio secco, con il corpo morto della piccola, preparato per il letargo della criogenesi, e chissà se, in quel tempo corto tra lo spegnersi del cuore e la morte del cervello, quando ancora i nervi sono organi terreni, glieli hanno estratti per davvero i dati per il backup della memoria: come fosse un album dei ricordi da sfogliare, chissà quanto ingiallito, al risveglio. E poi via verso un viaggio veloce all’indietro nei gradi.
I soldati di ghiaccio hanno un cristallo nel petto e nemmeno un fiore secco nella bara. Fosse almeno un foglio stretto nella mano a ricordargli chi sono. E chissà che adesso, JS morta di freddo, non avverta davvero il Divino e le schiere celesti vibrare in un richiamo di Luce per tenerla sollevata oltre il limite della paura. Forse è solo persa dentro un limbo scientifico asfittico e senza ritorno, o vittima di una promessa comprata. Davvero la tecnologia del futuro sarà in grado di restituirle la vita?
Sigillata in attesa della resurrezione, nello stesso Centro, c’è anche Matheryn Naovaratpong.
Di tre anni da un anno. Nel senso che ha tre anni già da un anno e continuerà ad avere tre anni per i prossimi anni, fino a quando la sveglieranno perché, da qualche parte, chissà quando nel mondo, un’equipe medica, sarà in grado di sostituire tutti i pezzi del suo cervello morsicato dal tumore. E resta lì immobile anche lei come un soldatino, dentro la garitta futuristica in attesa del comando per la rinascita. E le immagino. Tutte e due. Meravigliose creature pure e irraggiungibili, con i volti distesi ma duri, con le guance rosse fissate dentro l’illusione estrema nell’oltre tempo, a meno centonovantasei gradi.
Alcor è quasi dolce come nome ma non lasciatevi ingannare e, con tutto il rispetto per il dolore di ogni madre o genitore del mondo, andiamo ai numeri.
Il costo per la conservazione dei corpi nelle celle di Alcor è di duecentomila dollari. Gli ospiti a riposo sono attualmente centoquarantatré: centoquattro uomini e trentanove donne.
E chissà cosa faranno JS e Matheryn quando tra cinquanta o cento o duecento anni la scienza andrà a richiamarle? A bussare al vetro freddo delle loro conchiglie. Chissà se avranno voglia di bagnare i piedi nei loro mari prosciugati o se avranno desiderio di un frutto succoso e polposo, concentrato dentro un microchip. Che ne sarà delle ghirlande sfiorite? Davvero le loro cellule umane saranno vive e intatte?
Non riesco nemmeno a immaginarmelo il mondo che troveranno e noi non sapremo mai se l’esperimento sarà riuscito o no. Saranno gli immigrati del futuro, sagome di ghiaccio venute dal passato. Intanto sono corpi sigillati nell’attesa di una resurrezione laica: senza la paura di un percorso inverso dentro un calvario.
Dovremmo impegnarci tutti per il loro risveglio e per il nostro.
Buona rinascita, per il momento spirituale.
Facebook Comments