“Keith Haring, about art” è il titolo di un’interessante mostra in corso a Milano, a Palazzo Reale, sull’opera dell’artista scomparso a New York prematuramente all’età di 31 anni nel 1990.
La mostra, il cui curatore è Gianni Mercurio, mette in evidenza il continuo rapporto che Haring ha con tutta la storia dell’arte “umanista”. Il curatore sottolinea, forse con qualche azzardo, l’appartenenza dell’artista col più ampio possibile mondo della storia dell’arte, in ogni sala è presente un’opera che dimostra la sua tesi: un altorilievo di Michelangelo, il modello della colonna Traiana, la lupa capitolina, fino ad un’opera di Picasso, una di Klee, e via dicendo, i riferimenti sono continui e presenti nell’esposizione.
Si comincia, nella prima sala, con un calco del “combattimento di centauri e lapiti” di Michelangelo, qui il curatore prende spunto per sottolineare l’interesse per la libera composizione di corpi che si aggrovigliano, spesso Haring fa uso di questa composizione a tappeto. A seguire, nelle successive sale, un’acquaforte di Chagall: “il vitello d’oro”, in questo caso e, subito accanto, una interpretazione di Haring. C’è un modello della colonna Traiana, associata all’opera di Haring per l’alto valore didattico e divulgativo di un’impresa compiuta dall’uomo. La voce narrante della guida, la storica Zevi, denuncia l’azzardo dell’accostamento proprio perché Haring non ne fa un esplicito riferimento. Interessante il suo “San Sebastiano”, qui Haring mette in risalto il martire trafitto dai mali del suo tempo: droga e dramma dell’aids, in primis.
Commossa e partecipata la testimonianza di Madonna (assieme con lui ha vissuto gli esordi della sua carriera) che descrive così l’opera dell’amico: «la sua arte affascinava le stesse persone a cui piaceva la mia musica. Eravamo due strani uccelli rari che si muovevano nello stesso ambiente ed eravamo attratti – e direi anche ispirati – dallo stesso mondo. Ho sempre reagito emotivamente all’arte di Keith. Fin dai primissimi tempi, nei suoi lavori c’erano molta innocenza e gioia accoppiate a una consapevolezza del mondo quasi brutale. Ma il tutto era rappresentato in modo infantile, nel senso migliore del termine, nei suoi lavori c’era molta ironia, come nei miei».
Mi piace sottolineare questo parallelismo fra il mondo della musica e il mondo dell’arte figurativa. Quando c’è sinergia i due mondi si alimentano intellettualmente a vicenda, riuscendo nell’intento di descrivere più efficacemente possibile il proprio tempo. E l’opera di Haring è una chiara fotografia di quel decennio, gli anni ’80, in cui viene rappresentata la vivacità intellettuale di quegli anni, l’omosessualità; ma anche il grande dramma del decennio: l’aids, che Haring vivrà in prima persona e descriverà nelle sue opere.
La mostra è una passeggiata vivace in quegli anni descritti da uno dei maggiori rappresentanti di quel tempo che con coerenza stilistica, restituisce al visitatore un quadro completo aperto a spunti di riflessione. La mostra esclusiva che celebra Haring, molte delle opere provengono da collezioni private, sarà visitabile fino al 18 Giugno.
Facebook Comments