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sabato, Settembre 7, 2024

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Brian Eno: lo zen delle dù palle! – RECENSIONE del nuovo album “Reflection”

di Roberto Manfredi

Recentemente ho letto una bella intervista a Brian Eno in cui, il guru della musica Ambient, profetizza la nascita di un nuovo risveglio culturale planetario. Con la fine del 2016, anno in cui, secondo la sua teoria, si è toccato il fondo con l’isolazionismo di Brexit e la soppressione dei diritti sindacali di intere categorie lavoratrici, ora con il 2017 è previsto l’inizio di una nuova era di riscatto politico, sociale e spirituale che coinvolgerà l’intera umanità.
Le sue profezie mi sono sembrate talmente interessanti che mi hanno spinto ad acquistare il suo ultimo album: Reflection.

Sono sempre stato un estimatore di Brian Eno fin dai tempi dei Roxy Music in cui si nascondeva tra le piume di struzzo facendo sfoggio dell’eccentricità del Glam-Rock. L’ho ammirato anche nella svolta ambient con la sua “suite per aeroporti”, per aver concesso a Nanni Moretti la sua meravigliosa “By this river” per il film “La stanza del figlio” e per aver prodotto grandi artisti e grandi album, da David Bowie ai Talkin’ Heads, dagli U2 ai Coldplay.

Grande musicista, arrangiatore, produttore, sperimentatore, artista e performer a 360°. Dopo aver letto quell’intervista, particolarmente attenta ai temi sociali e politici, mi aspettavo un disco diverso. “Vuoi vedere che ora il mitico Brian, rinuncerà al suo veganesimo musicale per rispolverare un po’ di sane chitarre elettriche?”  – mi sono chiesto in trepida aspettativa.

Ma sono stato subito assalito dai dubbi appena ho aperto il suo CD. In puro stile minimal, le note di copertina : “Reflection”, scritto, inciso e prodotto da Brian Eno. Punto. E fin qui ci sta. Ma le tracce non ci sono, o meglio, ce n’è una solaspaventosamente lunga. Il fantasma della suite mi assale. Stai a vedere che qui torna la sua Music for Airport in versione 2.0? E infatti… Ecco che dopo trenta secondi di silenzio parte un armonico lento come un discorso di Mattarella. E poi un altro, o meglio forse lo stesso, ripetuto all’infinito. Ok, relax, mi dico… il maestro ci ha abituato a invenzioni sonore straordinarie e così sarà. Arriveranno.

Passano cinque minuti ma il loop zen è sempre lì, a scrutare il cosmo e anche le mie ginocchia che cominciano a sudare latte. Dopo venti minuti in cui non accade nulla, al punto da farmi pensare che il CD sia difettoso, cominciano a girarmi le palle come se fossi stato invitato a pranzo da Paola Maugeri dopo due giorni di digiuno e mi fossi trovato davanti a un sedano bianco come antipasto e poi a una pallina di tofu come secondo e un bel bicchierone di latte di soya. Passano venticinque minuti e desisto. Non posso nemmeno cambiare traccia, perché c’è solo quella. Mi alzo dal divano e noto uno strano rigonfiamento nel mio basso ventre. Che cos’è? E’ una trasformazione Kafkiana? E’ un effetto psicofisico dovuto all’ascolto del millecinquecentesimo armonico che si è librato nelle onde gravitazionali di Reflection? Mi tocco delicatamente per appurare la spaventosa mutazione. Che sia orchite? In preda al panico mi avvento sul lettore CD e lo spengo. Di colpo il gonfiore sparisce. Tutto torna alla normalità, come se non fosse mai accaduto nulla. Sono sopravvissuto. Riprendo in mano il CD e rifletto. Dubbi apocalittici mi assalgono. “L’avrà davvero fatto lui sto’ disco o è stata la coda del suo gatto?”, e “in quanto tempo l’avrà inciso? Mesi di registrazione o il tempo di scendere sotto casa a comprare il latte ” Poi mi viene in mente un commento di Alberto Sordi sui film di Antonioni :

“ Nei film di Antonioni ce stà sempre uno che cammina, cammina, in silenzio, per ore… ma andovà ???

Ecco… ”Reflection” sembrerebbe proprio un disco senza direzioni, ma purtroppo invece la direzione ce l’ha. Ando’ và stò disco? Và proprio là dove non batte il sole, e ci va così a fondo da risultare pericoloso. E’ l’effetto zen delle dù palle.

Mi chiedo il senso di questa cosiddetta avanguardia sonora. Ha ancora una sua funzione o Brian ci sta prendendo per i fondelli ? Che senso ha un disco del genere? Si rischia di essere irriverenti forse e anche più dello stesso Eno, ma operazioni di questo genere rischiano di far passare gente come il sudcoreano PSY come autentici Artisti innovatori.

Io spero che il 2017 porti a Brian Eno la voglia di comporre nuove e straordinarie melodie, come quelle di un tempo. Le narcolettiche suites dell’onanismo new age ci hanno fracassato in ogni dove, mettendo in serio pericolo la riproduzione umana. Brian non essere insensibile al nostro grido di dolore.
Love.

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