I Dirotta su Cuba, con il loro ultimo lavoro, riportano prepotentemente l’attenzione su di loro, una storica formazione di pop-funk, attiva fra alterne vicende da ormai venticinque anni.
L’ascolto del loro materiale, recente e d’anna-ta, induce ad alcune riflessioni, che in realtà si ricollegano ad un dibattito presente sui social e sui blog ormai da tempo: ma il pop italiano si è ridotto a quattro accordi?
Pongo questo interrogativo in maniera sintetica e volutamente cruda, ma naturalmente il concetto necessita di una trattazione vastissima, che non si può esaurire certo nello spazio di queste righe.
“I Dirotta”, come vengono chiamati dai fans, propongono una musica di chiare matrici, di linee melodiche sicuramente pop ma comunque sviluppate, con contenuti armonici riconducibili ad una logica compositiva e di arrangiamento, coerenti con un linguaggio che ha solide basi in innumerevoli prodotti di rilevanza mondiale come gli Earth wind and fire, Al Jarreau, George Benson. A giudicare dalla ridottissima frequenza con cui pubblicano qualcosa, soprattutto in rapporto al grande successo ottenuto ormai vent’anni fa con “Gelosia”, “Liberi di liberi da” e “E andata così”, verrebbe da chiedersi se questo mondo musicale in Italia abbia ridotto di tanto la propria “presa” sul pubblico, per quale motivo e a vantaggio di cos’altro.
Poi però circola con grande successo una velenosa vignetta che riprodurrebbe la tastiera sufficiente per arrangiare i brani di un notissimo cantautore, tastierina di estensione di un’ottava, e impazza il dibattito sulla ripetitività della produzione italiana più recente, appiattita su pochissimi autori e un unico arrangiatore; questo farebbe supporre che invece ci sia una certa nostalgia di un pop un po’ meno elementare e di contenuto musicale più concreto.
Ipotizziamo che un pop-funk, come quello dei “Dirotta”, possa aver fisiologicamente diminuito il suo appeal sul grande pubblico, fenomeno quantomeno strano, dato che di rimando vengono propinate periodicamente sul mercato delle copie sbiadite ed irritanti di storici artisti funk, a seconda delle dinamiche del Talent di riferimento, segno che questa musica è ben lungi dall’aver esaurito il suo potenziale di interesse. Il prodotto dei nostri è verace, si sentono la cura, lo studio dei maestri, l’entusiasmo e la dedizione, nelle linee di basso di Stefano De Donato, negli accordi e nei suoni di Rossano Gentili, nell’energia e nel feeling di Simona Bencini, negli arrangiatori e nei collaboratori vecchi e nuovi; la loro proposta è un lavoro da musicisti, è un risultato di passione.
Allora il problema forse è un altro e la riflessione ci manda indietro nel tempo, al periodo in cui oltre ai “nostri” giravano la Giorgia di brani come “E poi”, Strano il mio destino”, “Come saprei”, trilogia di composizioni e arrangiamenti di peso musicale enorme, giravano gli Avion Travel di “Dormi e sogna”, perla assoluta sotto ogni punto di vista, Laura Pausini cantava brani come “In assenza di te”, il pop italiano significava autori come Ivano Fossati, Claudio Mattone, Maurizio Fabrizio, arrangiatori come Celso Valli e Peppe Vessicchio, con frequenti incursioni di Geoff Westley e Phil Palmer.
Diceva un noto tormentone:”La domanda sorge spontanea”: ma i gusti del pubblico sono in picchiata libera da quindici anni o c’è qualche altro fattore che ha diluito un po’ troppo i contenuti specificamente musicali delle proposte del pop italiano?
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