Dario Fo, drammaturgo, attore, regista, scrittore, illustratore e premio nobel per la letteratura 1997, fu da sempre sostenitore della commedia dell’arte, una commedia “all’improvviso” che elogia improvvisazioni artistiche senza alcun testo scritto, con la presenza di canovacci, di rappresentazioni tenute all’aperto con una scenografia basilare, la scelta di una sola trama e di due intrecci, l’intenzione di abituare il pubblico al piacere del talento e alla capacità di un attore nel savoir faire teatro.
Una commedia prettamente italiana, una commedia delle maschere, quella di Pulcinella, Arlecchino, Pantalone, Rugantino, una commedia mercenaria con la formazione della prima compagnia teatrale, la “Fraternal Compagnia” nel 1545, una forma che si dilata per stupire, ma che mantiene gli stessi canoni iniziali per non stravolgere lo spettatore.
Una virtu’, quella di Dario Fo, nato a Sangiano, nel varesotto, il 24 Marzo 1926 e venuto a mancare nella giornata della proclamazione del Premio Nobel per la letteratura, il 13 Ottobre 2016, che in quanto virtu’ dell’omissione nelle arti figurative, compone i suoi personaggi selezionandone in modo preciso le azioni principali, omettendo così, come nella classica rappresentazione cartacea dei fumetti giapponesi, ad esempio, azioni o reazioni fisiche secondarie e facilmente raggiungibili dalla logica umana.
Dario Fo, quale drammarturgo, operò a lungo sul concetto di sintesi, sull’eliminazione, dunque, di una presenza che appare eccessiva all’occhio di chi la osserva. Fu nel 1968 che insieme a Franca Rame, Massimo de Vita, Vittorio Franceschi e Nanni Ricordi fondo’ il gruppo teatrale “Nuova Scena“, con l’obiettivo di ritornare alle origini popolari del teatro, della commedia e della satira, presentando il 1° Ottobre 1969, Mistero buffo, una rielaborazione di testi antichi in grammelot, un linguaggio scenico che fa uso della riproduzione di alcune proprietà del sistema fonetico di una lingua, come l’intonazione, il ritmo e le sonorità, dotato di una forte componente espressiva mimico-gestuale.
Nel caso specifico del Mistero buffo, Fo riprende l’arte dell’improvvisazione giullaresca, utilizzando un linguaggio dialettale tipico della Pianura Padana.
Punto focale della concezione artistica e teatrale di un “uomo di teatro a tutto tondo” è la nuova interpretazione di una commedia dell’arte, vissuta in un differente contesto storico come quello del 500, periodo in cui gli attori utilizzavano un linguaggio dialettale per attrarre il pubblico presente alla performance. Due poli opposti, quello degli umili e quello dei signori che vedevano nel dialetto uno sfottò sottostante. Con Dario Fo, tuttavia, i pregiudizi vennero abbattuti e venne messa in scena per la prima volta, la qualsiasi forma artistica dialettale, come simbolo espressivo della culturale italiana.
Sono molte, inoltre, le farse con cui Dario Fo ironizzò sulla morale borghese ed ecclesiastica, pur regalando agli spettatori messaggi sociali ed educativi: Il dito nell’occhio (1953), Sani da legare (1954), Teatro comico (1962), Mistero buffo, Giullarata popolare in lingua padana del 400 (1969), Legami pure che tanto io spacco tutto lo stesso (1969), Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non è il padrone? (1971), La giullarata (1975), Dialogo provocatorio sul comico, il tragico, la follia e la ragione (1990) …
Nel settore cinematografio, lascio’ un graffio profondo con “Lo svitato”, “Gli Arcangeli non giocano a flipper”, “Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri”, “Chi ruba un piede è fortunato in amore”, “La signora è da buttare”, un periodo prettamente borghese perché Dario Fo si rivelava ad un pubblico prettamente borghese…
Riuscì ad entusiasmare il mondo il 9 Ottobre 1997 quando, ricevendo Il Premio Nobel per la letteratura, con la seguente conclusione: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi” Fo rispose con l’elenganza e l’umiltà che solo un vero artista ritrae: “Con me hanno voluto premiare la Gente di Teatro”.
Un grande abbraccio Maestro!
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