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martedì, Dicembre 3, 2024

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Il Folk italiano perde un maestro, Carlo D’angiò. Lo ricorda Gianni Lamagna

di  Gianni Lamagna

A mmorte ‘e zi’ frungillo c’avimm’ ‘a ‘mbriacà” (quando morirà zio “fringuello” dobbiamo ubriacarci), è il capoverso di uno dei brani che ha reso famoso il canto libero di Carlo D’Angiò, voce urbana che meglio di tutti ha saputo interpretare, assimilare e reinventare la canzone popolare del sud Italia, senza che nessuno si rendesse conto delle sue personali “manipolazioni”.

Nella lunga e appassionata ricerca di musiche, tradizioni, e vita vissuta nel mondo popolare, Carlo aveva fatto suoi diversi modelli stilistici di canti di diverse regioni del sud, e le eseguiva in maniera impeccabile, con una tale padronanza tanto da confonderlo, per chi non lo conoscesse bene, con un qualsiasi cantatore popolare dotato di grande virtuosismo.

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Sin dagli inizi, a metà degli anni ’60, quando fondò con altri ragazzi napoletani, (E.Bennato, G.Mauriello e R.De Simone), La Nuova Compagnia di Canto Popolare, tutte le volte che era D’Angiò a cantare si era trasportati in un tempo senza tempo, rapiti da un timbro aggressivo, chiaro, potente, ricco di senso ritmico e di melismi che ti obbligavano ad ascoltare il brano fino all’ultimo giro dell’ LP (il 33 giri), dischi che in seguito, dopo aver fondato nel 1976 con Eugenio Bennato il gruppo Musicanova, diventano dei “classici” di cui facevano parte Garofano d’Ammore, Brigante se more, Festa Festa, canzoni che  passano di bocca in bocca e sono cantate da tutta Italia.

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Ed è sempre la voce di Carlo il “tramite” per esaltare anche tutte le novità sonore, ritmiche e timbriche dei grandi musicisti che militano in Musicanova. Una voce che graffia, istiga a muoversi, abballàzumpà, ma che sa pure accarezzare, quando si abbandona alle nenie piene di poesia, con una dolcezza che non ti aspetti.

Ho incontrato Carlo solo un paio di volte, una notte di plenilunio, meravigliosa, ai Giardini di Augusto, a Capri, dopo un mio concerto; quattro chiacchiere in piena serenità su quanto aveva ascoltato, su amicizie comuni, e a dirci quanta fortuna avevamo per essere, proprio quella notte, in uno dei posti più belli del mondo.

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Un’altra volta per strada, di fretta, una stretta di mano cordiale e via. Troppo poco per parlare di Carlo persona. Per quello ci sono i racconti degli amici e il sentire comune è un coro unanime che afferma la sua grande umanità, la sua gentilezza, il garbo e l’altruismo. Ma per il Carlo cantante e musicista potrei continuare a lungo. Mi ha sempre incantato il suo canto, lo stare in scena, la gestualità contenuta – ma forte e decisa -, ad affermare e significare parola per parola delle sue canzoni, nota per nota, compresi abbellimenti e variazioni delle sue melodie.

La sua scomparsa lascia un grande vuoto, ma le tante registrazioni ora lo renderanno immortale. E se i giovani delle formazioni di musica popolare, quelli ricchi di passione e rispetto, perdono un punto di riferimento, senza più il contatto diretto, potranno sempre attingere all’archivio della rete e studiare la lezione di Carlo.

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L’anno prossimo la Nuova Compagnia di Canto Popolare celebra i 50 anni di attività con l’uscita di un doppio album, nuove composizioni e successi storici in cui Carlo D’Angiò c’era, in quel lontano 1967, e sarà ancora con noi. Il mese scorso ci ha inviato la sua ultima, toccante, Madonna de la grazia: è stata la prima volta per me, seppur da lontano e in una traccia registrata, ma abbiamo cantato finalmente insieme.
Addio Carlo, grazie per averci aperto gli occhi.

 

 

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