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domenica, Ottobre 13, 2024

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HACKNEY STONES – RECENSIONE DEL NUOVO ALBUM DEI ROLLING STONES

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C’è una legge mai scritta che funziona sempre: mai farsi troppe aspettative quando esce un nuovo album di una rock star. Nel caso di “Hackney Diamonds” dei Rolling Stones le grandi aspettative non potevano non esserci per una lunga serie di motivi.

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innanzitutto perché non pubblicavano un album di inediti da parecchi anni, perché l’album sarebbe stato dedicato a Charlie Watts, infine perché erano state annunciate delle partecipazioni importanti con Paul Mac Cartney al basso, Elton John, Stevie Wonder e Lady Gaga.

Già il titolo prometteva bene: “Hackney Diamonds”, che potrebbe essere tradotto in “Diamanti banali”, dato che hackney oltre a ronzino o cavallo da vettura significa anche rendere tutto comune, ridurre a semplice banalità.

Quando ho visto la copertina però, ho subito storto il naso. L’illustrazione a cura di Paulina Almira, sotto la direzione artistica dello studio Fury, è imbarazzante. Un coltello tenuto maldestramente da una mano che sembra disegnata da un bambino delle elementari, spacca in mille pezzi un diamante. Lo stile ricorda certe cover di gruppi rock o pop degli anni ottanta. Potrebbe essere adatto a band come gli Europe tanto per fare un esempio.

Anche il font usato per i Rolling e per il titolo è di una bruttezza unica. Fortunatamente nel libretto sono contenute delle belle foto di Mark Seiger, ma nel complesso il concept e la realizzazione grafica è davvero scadente. Il prezzo del cd è di 29,99 euro, arrotondiamo a 30 euro per semplicità.

Le tracce sono 12, anche se l’ultimo brano “Rolling Stone Blues” sembra registrato così alla buona, tra l’improvvisazione in studio o in un camerino, prima o dopo il soundcheck.

Ora, i tre Stones hanno 225 anni tra loro, quindi non è che potevamo aspettarci un album di musica contemporanea con testi che raccontino il presente e il futuro, però essendo la più grande rock band del pianeta, un album più coraggioso con qualche lampo d’innovazione poteva starci eccome. Cosa che fece un certo Johnny Cash negli ultimi anni di vita, pubblicando album straordinari come “American IV. The Man Comes Around”.

rolling stones

Con “Hackney Diamonds” invece sembra che i Rolling Stones siano entrati in studio timbrando il cartellino.

L’album si apre con “Angry”, un brano non indimenticabile anche se molto orecchiabile grazie alla voce di Mick Jagger che è una spanna sopra tutti. Il riff di Keith Richards però è acqua fresca.

Segue “Get Close” con un ritornello che sembra scritto da una delle tante loro tribute band. La stesura è da brano da karaoke. Per fortuna c’è un assolo di sax di James King che spezza la monotonia.

La terza track è “Depending on you”, una ballata acustica non male, con tanto di chitarra slide, organo hammond e sezione d’archi. Forse è il brano migliore dell’album, ma se ripensiamo a “Wild Horses” il confronto non regge.

Segue il frenetico rock n’roll “Bite my head off” con il basso elettrico suonato da Paul McCartney che a un certo punto diventa centrale grazie al suono distorto. Indubbiamente qui la birra c’è e il pezzo tira alla grande, grazie anche alla diabolica voce di Jagger.

“Whole wide world” invece scivola via senza lasciare traccia, con un ritornello alla qualunque. Siamo quasi a metà album e il jet dei Rolling è ancora fermo sulla pista in attesa di decollo.

“Dreamy Skies” strizza alla ballata country per vecchi cowboys con la pancia gonfia di birra che si commuovono appena sentono una steel guitar. Una ballad come tante che fa rimpiangere “No expectations” di Beggars Banquet.

Segue “Messi it up”, con un Charlie Watts alla batteria, probabilmente campionato o registrato precedentemente. Il ritornello è addirittura pop dance. Imbarazzante. Un brano scritto a tavolino da ballare, di quelli che i deejay mettono nei compleanni insieme ai pezzi degli Abba e di Shakira. Da dimenticare, chitarre comprese.

Nel successivo “Live by the sword” si distingue solo il pianoforte di Elton John e il basso di Bill Wyman che meriterebbero di essere isolati dal resto.

“Driving me too hard” è un‘altra ballata country-rock già sentita e risentita che lascia il tempo che trova.

Gesù… mancano tre tracce e non è successo ancora niente di clamoroso o di interessante. Forza ragazzi, altro gettone- altro giro.

Poteva mancare un brano cantato da Keith Richards? No, ed ecco che arriva “Tell me Straight” senza infamia e senza lode. L’impressione è come nei concerti live dei Rolling, quando Jagger va a prendersi una pausa nel back stage e Richards canta un paio di pezzi.

Ed ecco che finalmente arriva un brano come si deve: “Streets sounds of Heaven” con Stevie Wonder al piano e Lady Gaga alla voce. Qui si risentono i Rolling di un tempo e le radici della musica soul americana. Si respira, ma diamine siamo alla undicesima traccia. Si potrebbe dire, non è mai troppo tardi, ma è tardi veramente nonostante il duetto finale tra Lady Gaga e Mick Jagger con il piano di Wonder in sottofondo.

L’album si chiude con “Rolling Stone Blues”, un classico blues con Jagger all’armonica. Muddy Waters ringrazia visto che è citato al limite del plagio. Punto, fine.

I diamanti banali sono finiti.

Credo sia uno degli album peggiori dei Rolling Stones nella loro immensa discografia. Valeva la pena di pubblicarlo dopo averci fatto aspettare anni? Francamente non lo so. Di sicuro Charlie Watts meritava una dedica migliore. Lo dico da rollingstoniano accanito. Ho collezionato tutti i loro album, certo alcuni non sono indimenticabili, soprattutto quelli pubblicati negli anni ottanta, al tempo in cui i Rolling erano spaventati dal fenomeno post punk e dall’insorgere della dance music che mettevano seriamente a rischio il loro sound, ma alla fine sono sopravvissuti alla grande. Ora da ottantenni non gli resta che chiudere il ciclo storico nel miglior modo possibile, ma certo “Hackney Diamonds” non gli fa onore. Un gran peccato, maledizione!!!!! Che l’amico Satanetto si sia dimenticato di loro? Probabile.

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