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1989: La Rivoluzione di Velluto, Lou Reed e Philip Roth

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di Marco Zoppas

Václav Havel, leader del movimento pacifico che nel 1989 liberò l’allora Cecoslovacchia dal regime comunista, coniò il termine “Velvet Revolution” (Rivoluzione di Velluto) ispirandosi al nome della rock band Velvet Underground formatasi grazie all’incontro tra Lou Reed e John Cale sotto l’egida della Factory di Andy Warhol.

Havel aveva già scontato cinque anni di prigione per dissidenza  e dichiarò di essere sopravvissuto a quell’esperienza anche grazie all’assidua lettura dei testi di Lou Reed. Questo è uno dei tanti momenti fatidici della storia del rock. Lou Reed nel 1989 viene improvvisamente a conoscenza del fatto che il suo repertorio di canzoni dedicate agli emarginati della società –prostitute, travestiti, fricchettoni e tossicodipendenti sull’orlo del suicidio – in realtà aveva contribuito a cambiare il mondo!

Da allora in poi Lou non avrebbe mai permesso a nessuno di sottovalutare o infangare la portata letteraria dei testi rock. Decise che era giunta l’ora di prendersi sul serio alla faccia di chi relegava la musica leggera a puro intrattenimento. Una volta eletto presidente, Václav Havel addirittura invitò Lou Reed per una visita ufficiale a Praga a sottolineare quanto le sue composizioni avessero contribuito all’affermarsi della Rivoluzione di Velluto.

Il 1989 va tra l’altro ricordato per la pubblicazione di New York, uno degli album più politici di Lou Reed dove lui non esita a schierarsi e dire la sua su temi come l’Aids, il razzismo, la violenza e il sogno americano infranto chiamando talvolta in causa personaggi politici con tanto di nome e cognome. E il disco si chiude con Dime Store Mystery, un omaggio al suo mentore Andy Warhol da poco scomparso e – sia detto per inciso – di origine slovacca.

Ma non tutti forse sanno che un altro illustre letterato si era prodigato per la causa della Rivoluzione di Velluto in maniera ancor più diretta: Philip Roth, che ci ha da poco lasciati all’età di 85 anni. All’inizio, intorno al 1972, il suo era solo un interesse culturale. Voleva conoscere il posto in cui era vissuto Franz Kafka. Ma a poco a poco Roth iniziò a sentirsi di casa a Praga. Prese a soggiornarvi sempre più di frequente e a stabilire contatti con artisti dissidenti. Frequentò scrittori del calibro di Milan Kundera, Ivan Klíma e lo stesso Václav Havel che allora, prima della Velvet Revolution, si cimentava come autore di opere teatrali.

Si pensa erroneamente che i romanzieri siano persone abili con le parole ma poco propensi ad agire concretamente. Philip Roth smentì questo banale luogo comune con la creazione, negli Stati Uniti, di un fondo e di un programma destinati agli scrittori cecoslovacchi in difficoltà rispettivamente chiamati “Ad Hoc Czech Fund” e “Writers from the Other Europe”. La seconda delle due iniziative, tra mille difficoltà, rimase attiva fino alla vittoria di Havel del 1989.

Ad accomunare Lou Reed e Philip Roth c’è innanzitutto l’origine ebraica oltre a una profonda sete di giustizia che ha trovato un suo coronamento nell’ex Cecoslovacchia nell’anno 1989. Non possiamo non sentirne la mancanza.

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