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“Johnny Cash: Forever words”, l’album tributo con Willie Nelson, Elvis Costello e altri – RECENSIONE

Diciotto mesi fa, il 15 novembre 2016, venne pubblicato Forever Words: The Unknown Poems, una raccolta di lettere, poesie, testi, annotazioni, pensieri scritti da Johnny Cash nel corso della sua vita, ritrovati dopo la sua morte e mai pubblicati prima di allora.

In queste pagine è possibile osservare il mondo attraverso i suoi occhi e leggere le sue riflessioni da un intimo punto di vista, toccare con mano la sua fragilità cosí come la sua forza. Versi che parlano d’amore, sofferenza, libertà e morte, che esprimono considerazioni su cultura, vita familiare, sulla propria fama e persino sul Natale; probabilmente appunti per canzoni mai portate a termine.

Oggi questa raccolta di scritti è diventato un Album Tributo di 16 canzoni in cui familiari ed amici di Johnny Cash (Rosanne Cash, Carlene Carter, Kris Kristofferson, Willie Nelson) cosí come altri artisti forse  meno vicini al suo stile musicale (Kacey Musgraves, Chris Cornell, John Mellencamp, Elvis Costello) hanno accettato la sfida di metterli in musica.

Ho scelto artisti le cui storie erano in qualche modo vincolate a quella di mio padre – dice John Carter Cash, figlio di Johnny e produttore dell’album insieme a Steve BerkowitzÈ stato uno sforzo emozionante realizzare quest’opera, metterla insieme e presentarla a personaggi diversi che l’hanno portata a termine in una forma che credo mio padre avrebbe apprezzato”.

Johnny Cash

Proprio Willie Nelson e Kris Kristofferson, che insieme a Johnny Cash e Waylon Jennings verso la metà anni ’80 diedero vita al supergruppo The Highwaymen, aprono l’album con Forever/I still miss someone, un breve brano acustico (0’47”) affidato alla chitarra del primo su cui la voce del secondo recita i versi scritti da Johnny Cash poche settimane prima della sua scomparsa:

Mi dici che devo morire come i fiori che apprezzo,
niente rimarrà del mio nome, niente sarà ricordato della mia fama,
ma gli alberi che ho piantato sono ancora giovani
e le canzoni che ho cantato si canteranno ancora”.

Nel seguente To June this morning, un delizioso brano armonizzato a due voci, Kacey Musgraves col marito Ruston Kelly mettono in musica una lettera che Johnny scrisse alla moglie June Carter, scomparsa quattro mesi prima di lui. La lettera fu scritta nel febbraio del 1970, un mese prima della nascita del loro unico figlio John Carter Cash, che in questo brano riconosce le incrollabili speranze del padre nella bellezza del destino e di tutto il buono che questo riserva.

La bella voce di Brad Paisley intona Gold all over the ground calando l’ascoltatore in una tipica atmosfera country con i suggestivi abbellimenti di slide guitar e armonica oltre ai perfetti caratteristici impasti vocali nel ritornello.

“Se ti degnassi di essere mia non so cosa farei,
ma mi siederei per farti ascoltare per un’ora, forse due.
E allora sapresti che ho bisogno di te ogni giorno che passa,
i tuoi piedi camminerebbero sul velluto e oro tutt’intorno per terra.
Tutte le tue strade sarebbero in discesa, con un leggero vento in poppa,
un cielo pieno di diamanti e le tue notti non sarebbero scure.
Sí, ti piacerebbe veramente e qualora ti sentissi giù
ti offrirei mazzi di rose e oro tutt’intorno per terra.
Ti prenderei in braccio per farti attraversare ogni corso d’acqua
e ti avvolgerei di cortesie fino a farti stringere a me
Siederemmo sotto rami robusti, con le mie braccia intrecciate a te,
trasformerei il tuo verde in smeraldo e oro tutt’intorno per terra”. 

È quindi la volta di Chris Cornell a cimentarsi con You never knew my mind, uno dei suoi ultimi lavori prima della scomparsa avvenuta il 18 maggio di un anno fa. Un’interpretazione con voce sofferta ed a tratti strascicata per raccontare un testo che parla di un rapporto incrinato dall’incomprensione.

“So che senti il modo in cui sono cambiato,
ma non puoi cambiare il modo in cui mi sento,
a volte sono un’estraneo per te, un caso a parte
e penso che in qualche modo arriverai alla fine,
ma non sai come prenderla,
a volte sei un’estranea per me, un caso a parte.
Ci sono stati tempi allegri, ti sei sentita compresa,
eravamo spensierati, aperti e onesti,
amorevoli, semplici, gentili e veri.
E suppongo tu non abbia mai dubitato
che stavamo bene insieme.
Poi hai visto il cambiamento dolorosamente
e hai capito
di non aver mai capito veramente la mia mente”. 

The Captain’s Daughter è un altro brano in puro stile country, infarcito di slide guitar, fiddle, banjo e chitarre acustiche, interpretato da Alison Krauss & Union Station.
Il testo racconta una sciropposa storia di un povero ragazzo innamorato della figlia di un ricco capitano, proprietario della nave con cui solca i mari per trasportare merci pregiate.
La figlia sembra poco disposta a rinunciare alla propria vita agiata, anche se non è insensibile al fascino del ragazzo povero, ma bello.

Non è dato a sapere come va a finire, ma nell’ultimo verso il ragazzo la ammonisce dicendole:

Tuo padre ti ha dato una casa, ma tu non hai nessuno quando è via.
Io me ne andrò e ti lascerò completamente sola se la tua risposta sarà ancora no, no, no, no, no”. 

Jellico Coal Man è una ballata scritta, per quanto riguarda la parte musicale, e interpretata da T Bone Burnett, sorretta da una chitarra elettrica grattugiata ossessivamente sugli stessi tre accordi per tutta la durata del brano. Vi si descrive un personaggio d’altri tempi (il carbonaio, l’uomo del carbone) giocando sull’assonanza tra il nome del paese (Jellico) e coal (carbone). 

“Ho un campanellino nero attorno al collo e vi venderò il carbone a ceste o al pezzo,
vi venderò il carbone a galloni o a libbre e non dovrete cercarmi, sarò lì attorno.
C’è carbone soffice o carbone duro, ve lo porterò direttamente sul retro.
Avrò torte di cioccolato o di miele, credo ne avrò una fetta quando verrò a trovarvi.
Arriva direttamente dalla miniera di Jellico e riscalderà i vostri figli durante l’inverno.
Comincio a lavorare quando sorge il sole, mi vedrete arrivare col mio carretto a due ruote”. 

Rosanne Cash, figlia di Johnny e della sua prima moglie Vivian Liberto Cash Distin, ha messo in musica e cantato The Walking Wounded, una mesta ballata che parla di feriti che camminano, di un’umanità decadente, sconfitta, alla ricerca di valori e speranze soffocate dal progresso e dal consumismo… 

“Siamo in chiesa inginocchiati, siamo nelle metropolitane sottoterra,
siamo nei bar e per le strade, guidiamo camion e camminiamo un po’,
siamo nei mulini e nelle fabbriche, facciamo l’acciaio e tagliamo gli alberi,
un migliaio di cortili fissano come un vetro, ma ti vediamo quando passi.
Abbiamo perso le nostre case e i nostri sogni,
tutti i nostri obiettivi sono tornati ad essere schemi,
ci facciamo del male vicendevolmente e a noi stessi
dopo tanti traumatici discorsi.
Noi siamo i feriti che camminano.” 

John Mellencamp propone un altro brano tipicamente country, Them Double Blues, introduzione d’armonica a bocca, intermezzo di fiddle, banjo e chitarre acustiche a volontà per 2’50” di allegra festa campagnola, tra balli e barbecue.

Nel seguente Body on body Jewel riesce a creare una melodia accattivante sui soliti quattro gradi della scala maggiore (I-V-VI-IV), ben giocata tra la strofa quasi sussurrata ed il refrain a piena voce con l’acuto sapientemente collocato al posto giusto sul titolo della canzone. Arpeggi di chitarra acustica ed elettrica s’incrociano col pianoforte sorretti da un ritmo di batteria rotondo ed incalzante.

Ti chiedi come funziona l’amore vero,
nessuno può dirlo perché nessuno lo sa.
Come pioggia su una roccia, come una piuma nell’aria,
non c’è modo di saperlo, ma va da qualche parte.
Dove, però? Nesssuno lo sa.
È cuore su cuore, anima su anima,
corpo su corpo è come funziona.
Corpo su corpo è tutto quel che sa
Ti chiedi cosa sa l’amore vero
nessuno può dire come funziona,
semplicemente scorre.
Non ha senso, è come il sole a mezzanotte
e uno su uno è solo vinto (trad. letterale di “one on one is only won” gioco di parole assonanti)
quando sei sul suo trono”. 

Tutt’altra atmosfera per la stupenda I still love you, autentico gioiello uscito dalla penna di Elvis Costello dal sapore vagamente McCartneyano. Prezioso l’arrangiamento (ci sarà lo zampino di Diana Krall? Scommetto di  sí), introduzione di un ottetto d’archi seguita dall’esposizione del tema cantato con l’accompagnamento di un pianoforte su cui si inseriscono eleganti intrecci di clarinetto e tromba, quindi ancora gli archi ad allargare le armonie; gran classe, senz’altro il brano migliore dell’album. Struggente il testo.

Uno di questi giorni salirò volando
uno di questi giorni salperò oltre il blue
Mi è stato promesso che c’è un mondo migliore là fuori
Voglio che tu sappia che quando me ne andrò
ti amerò ancora.
Non sarò un estraneo quando raggiungerò il Paradiso
perché tu mi hai già dato il paradiso qui sulla Terra.
Se supererò la tristezza col cuore d’oro, è vero,
per quel che vale, ti amo ancora.
Uno di questi giorni, quando i miei problemi saranno finiti,
uno di questi giorni, quando tutte le mie sofferenze saranno passate,
uscirò cantando, sarà un giorno per cantarlo
e prometterò per l’eternità
ti amerò ancora”.

Carlene Carter,figlia di June Carter e del suo primo marito Carl Smith, ha messo in musica i versi di un toccante ricordo della madre con un brano che potrebbe appartenere alla miglior tradizione partenopea, con un incipit che ricorda Torna a Surriento e con tanto di mandoloncello che fraseggia in sottofondo per tutta la durata del brano. 

Un altro giorno sta calando verso ovest scivolando via,
rumori di macchine, motori, uomini si acquietano, meno che tenui.
Tramonto, conta la paga, il lavoratore dà il benvenuto al grigio
Molte mogli con un bacio sulla porta,
nuovo rossetto, mai usato prima.
Tramonto, gira la ruota
un aratore fischiandoti dietro dal campo
Molte madri contano un giorno in meno al ritorno di qualcuno
Una voce per ripetere qualcosa già detto col cuore in silenzio
ho pregato perchè ricevano il pane quotidiano
Milioni di cuori battono come un solo suono
nella perfezione dell’amore, insieme al tramonto
Madri, pastori, contano la tavola attorno.
Grazie al cielo le terre ci sono ancora al tramonto.
Tramonto, sabbia del deserto,
cominciano a rinfrescare la faccia bollente dell’abbronzato
Mi ha dato il suo giorno, lascia che io viva
ad ogni tramonto renderò grazie. 

Un versetto dal Vangelo secondo Matteo (11:28) “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” introduce “He bore it all” uno scatenato gospel ottimamente interpretato da Dailey & Vincent.

Cresciuto in una famiglia Battista, nonostante gli anni turbolenti dovuti all’abuso di anfetamine e alcool che lo portarono al divorzio dalla prima moglie, Johnny Cash era un devoto cristiano e studioso dei testi biblici; nel 1977 si laureò in Teologia e venne consacrato Ministro di Culto, scrisse anche un romanzo cristiano intitolato “Man in White” sulla vita di San Paolo.

Atmosfera a cavallo tra musica tradizionale giapponese, celtica e folk americano per il seguente Chinky Pin Hill ad opera del trio femminile I’m With Her formato da Sarah Jarosz, Sara Watkins, Aoife O’ Donovan. Curioso, interessante ed inaspettato, con armonizzazioni vocali che a tratti ricordano gli Zombies di She’s not there.

Anche nel seguente brano Goin’, Goin’, Gone interpretato da Robert Glasper, Ro James, Anu Sun siamo ben lontani dal tradizionale country. Un batteria dal suono asciutto in primo piano con un serrato ritmo su cui si appoggiano quasi in sottofondo un pianoforte che arpeggia i tre accordi che costituiscono la struttura armonica del brano e un basso. Nel refrain si aggiungono una chitarra distorta e le armonie vocali. Una canzone che mette in guardia contro gli abusi di droga e alcool, come recita l’interludio parlato.

“Stavo cercando di descrivere l’inferno del tentativo di restare vivo
stressato da anfetamine e barbiturici.
Come vedi è un circolo vizioso, le anfetamine mi tirano su
poi ci vogliono i barbiturici per tirarmi giù.
Volevo solo decollare, ero un relitto,
il punto più basso in assoluto, non avrei mai più potuto affrontare nessuno
son venuto meno con chiunque così tante volte e li ho feriti mentendo
ho pensato che avrei dovuto trascinarmi in una caverna e morire”.

Con What would I dreamer do? interpretata dai Jayhawks si torna alle più tradizionali atmosfere country, una ballata in 6/8 su un giro armonico I-II-IV, niente di nuovo, ma gradevole all’ascolto.

Chiude l’album Spirit Rider  uno spiritual affidato alla calda voce di Jamey Johnson accompagnata nelle strofe da un organo cui si aggiungono. a mano a mano, il basso, un’arpa, una sezione fiati e la batteria.

Non so che impatto possa avere quest’album sul mercato italiano, probabilmente sarà destinato ad una ristretta nicchia d’intenditori, ma è sicuramente una chicca imperdibile per gli estimatori di quel grande personaggio che è stato Johnny Cash.

Johnny Cash

Tracklist: Johnny Cash: Forever words

1. “Forever/I Still Miss Someone” – Kris Kristofferson e Willie Nelson
2. “To June This Morning” – Ruston Kelly e Kacey Musgraves
3. “Gold All Over the Ground” – Brad Paisley
4. “You Never Knew My Mind” – Chris Cornell
5. “The Captain’s Daughter” – Alison Krauss e Union Station
6. “Jellico Coal Man” – T. Bone Burnett
7. “The Walking Wounded” – Rosanne Cash
8. “Them Double Blues” – John Mellencamp
9. “Body on Body” – Jewel
10. “I’ll Still Love You” – Elvis Costello
11. “June’s Sundown” – Carlene Carter
12. “He Bore It All” – Daily and Vincent
13. “Chinky Pin Hill” – I’m With Her
14. “Goin’, Goin’, Gone” – Robert Glasper con Ro James e Anu Sun
15. “What Would I Dreamer Do?” – Jayhawks
16. “Spirit Rider” – Jamey Johnson

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