Quante volte avete pensato “la musica è tutta uguale”… “nessuno ha il coraggio di sperimentare”… “non c’è nulla di nuovo, la creatività è finita”…
E ancora, “in musica è stato già detto tutto”?
Cazzate.
Ascoltate “22, A Million” dei Bon Iver. Lo avete già fatto? Allora questa recensione non vi occorre: avete già varcato la porta verso mondi sonori paralleli. Se invece questo disco non è ancora passato dalle vostre orecchie, lasciatevi consigliare una buona volta e abbandonate le vostre trite certezze: ascoltatelo!
Rilasciato il 30 ottobre 2016 per l’etichetta indipendente Jagjaguwar, “22, A Million” è il terzo album dei Bon Iver, uscito dopo ben nove anni dall’album d’esordio For Emma, Forever Ago e ad oltre cinque anni dal precedente Bon Iver, Bon Iver, disco che si è aggiudica il Grammy Award nel 2011 come “Best Alternative Music Album” consacrando il leader e fondatore Justin Vernon quale “Best New Artist”.
Ascoltare “22, A Million” è puro godimento. Questo disco è l’evento inatteso che riscatta una pessima giornata; è il respiro di primavera che sciogliere l’immobilità dei ghiacci invernali; è un lampo inaudito trascendente dalla pura massa sonora.
Ricordate i raggi di luce immortalati nelle foto di Sebastião Salgado? Sprazzi di sole che penetrano le nubi e cadono a nobilitare la povertà degli uomini, omaggiandola della dignità d’arte rappresentabile? Stessa cosa avviene in questo disco.
Tutti i brani sono caratterizzati da un’ostinata povertà di materiali: voci, rumori, pochissima orchestrazione, strutture armoniche dissolte e latenti, pochissimi accordi. Il tutto tendente all’essenza. Ma è povertà solo apparente: la materia non è informe ma plasmata saggiamente dalla creatività dei Bon Iver. Il tutto è rielaborato fino alla sublimazione, inondando lo spazio di arte pura. Molto più vicino alla “sound composition” che all’indie-folk: l’espressività è raggiunta per sottrazione, dove anche l’imperfezione e il vuoto sonoro sono funzionali all’estasi, dove le strutture si dilatano fino a far perdere le loro tracce.
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Faccio solo pochi esempi, il resto ve lo lascio sperimentare.
“22 (OVER S∞∞N)”, brano di apertura del disco: il bordone iniziale, in loop per l’intero brano, è un battito vitale sul quale si inerpicano le splendide tessiture vocali. L’immobilità armonica è solo un inganno: bastano piccoli tocchi di chitarra elettrica a disvelare il trucco, a spostare lateralmente lo sguardo della percezione sonora. Anche il Sax è un inganno: non si tratta di un vero assolo, ma di una punteggiatura, un attimo di respiro prima della parte finale.
Passiamo a “715 – CRΣΣKS”: voglio citare soltanto l’utilizzo estasiante del Vocoder sulle voci il cui esito è lontanissimo dall’uso puramente accessorio nella techno-pop, persino al di là dei timbri androidi e cibernetici nei Rockets e soprattutto dei Daft Punk, diventando davvero e profondamente cosmico.
Per ultimo vi esorto ad ascoltare ad occhi chiusi “29 #Strafford APTS”: una chitarra acustica fingerstyle (un qualsiasi folk-singer nel mondo), un contrappunto di rumori percussivi e di effetti (riverberi, armonizer, vocoder ancora). Su questo contrasto ipnotico si staglia la melodia vocale. Un istante sospeso in un qualche remotissimo lembo dell’universo.
Ecco la track list, di per sé più che significativa:
- 22 (OVER S∞∞N)
- 10 d E A T h b R E a s T ⚄ ⚄ –
- 715 – CRΣΣKS
- 33 “GOD”
- 29 #Strafford APTS
- 666 ʇ
- 21 M♢♢N WATER
- 8 (circle)
- ____45_____
- 00000 Million
Il disco è disponibile anche sulle principali piattaforme digitali quali Spotify ed iTunes.
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