Stamattina, dopo il fermento – in parte entusiasta e in parte di delusione – in rete per l’uscita del disco Natalizio di Laura Pausini, “Laura Xmas“, mi son preso la briga di andarmelo ad ascoltare.
Cominciamo con il dire che il disco è stato pubblicato per Atlantic-Warner Music in versione italiana e spagnola e distribuito in oltre 60 paesi. L’album verrà presentato, per la prima volta, alla stampa mondiale il 24 novembre a Parigi, in una speciale serata organizzata in collaborazione con Disneyland Paris.
Nella copertina dell’album si vede una Pausini immersa in un paesaggio fiabesco, avvolta da un lungo mantello rosso, sospesa su un’altalena in un incantato bosco innevato. La cover è stata realizzata a Los Angeles da Josh Rossi, artista specializzato in narrazione di fiabe.
Prima di cimentarmi con la recensione di quest’album, premetto che mi sono imposto d’essere il più obiettivo possibile, visto che, lo ammetto, quest’artista occupa un posto non certo rilevante nelle mie personali preferenze musicali.
Partito l’ascolto, già dopo i primi brani mi è venuto in mente il singolo di maggior successo del simpatico Paolo Mengoli “Perché l’hai fatto?”
Secondo quanto comunicato, l’album è stato autoprodotto dalla Pausini stessa con l’ausilio del produttore Patrick Williams e la sua Orchestra. Ma all’ascolto, malgrado la presenza di un arrangiatore come Williams, non sembra essere stata, quella di Laura, una scelta felice e si sente la mancanza di un supervisore inflessibile in grado di gestire l’artista e le sue “corse in avanti”, al fine di ottenere un prodotto all’altezza di colei che è ritenuta da parecchi la più popolare e rappresentativa all’estero tra le cantanti italiane.
Si comincia con “It’s beginning to look a lot like Christmas” cantata con voce quasi “fanciullesca” ed assai poco fluida, che tende ad inciampare sulle sillabe della lingua inglese, suonando molto scolastica e poco credibile.
Segue “Let it snow, let it snow, let it snow” in cui la voce “solista” è decisamente troppo in primo piano rispetto alla base, mettendo così in risalto anche un certo affanno sul timing, tanto che viene da chiedersi se l’orchestra sia stata registrata in studio o se si tratta di una base karaoke per quanto ben fatta. Fastidiosamente sguaiato il “Let it snow” appena prima dello special strumentale.
È la volta di “Santa Claus is coming to town” che offre il suo meglio nella parte orchestrale.
Stesso discorso per “Jingle Bell Rock”, e qui la parte cantata mettere in evidenza le carenze di colore e sfumature nella voce della Pausini, che risulta purtroppo piatta e monocorde.
Anche il quinto brano “Have yourself a Merry Little Christmas”, che dovrebbe essere lento e sognante, evidenzia una scarsa padronanza sulle note basse che tendono a sparire, incrinandosi. Si ascoltano anche fastidiosi respiri, non necessari ai fini dell’interpretazione di un canto natalizio (non è mica “Love to love you baby”… si può benissimo prendere fiato senza fare tutto quel rumore), che si sarebbero potuti tagliare in post-produzione.
Con “Jingle Bells” siamo a metà dell’album e la situazione comincia a diventare ancora più deludente, vuoi per l’orchestra tenuta in secondo piano, facendo perdere completamente l’impatto della sezione fiati, vuoi per la parte vocale cantata con lo swing da “felino inanimato” ed una cadenza cantilenante da adolescente sulle note tenute troppo lunghe a fine frase.
Di “White Christmas” si apprezza soprattutto il controcanto che in un primo momento può sembrare opera di un/a corista, ma nelle ultime note, andando fuori range, si rivela per un suono di synth voice .
L’ottavo brano è “Happy Xmas” di John Lennon ed è il brano più “maltrattato”, cantato in modo “urlato” che sfiora l’irritazione, purtroppo: improponibile!
Si passa poi a ”Feliz Navidad” con un improbabile “I wanna wish you a Merry Christmas from the bedom of my heart” a piena voce, che maschera un po’ le lacune rilevate nei brani precedenti.
L’ “Adeste Fideles” successivo proprio non è la sua cifra, e la Pausini avrebbe fatto meglio a non includerlo nell’album. Inaccettabile purtroppo!
In “Oh Happy Day” è molto gradevole il coro, a differenza della parte solista che sembra, mi si perdoni, il miagolio di un gatto un po’ alterato.
Chiude l’album “Astro del ciel” che, con dispiacere, risulta essere una scialba versione in cui, ancora una volta, viene messa in evidenza la scarsa padronanza dell’artista di Solarolo sulle note basse che tendono a sparire incrinandosi, oltre ad un improbabile e pure un po’ fuori luogo tentativo di blue note su “Redentor”, qualcosa che davvero non è nelle corde della cantante.
Alla fine viene da chiedersi: che bisogno aveva Laura di fare un album del genere? Scelta che peraltro non brilla per originalità, sicuramente non all’estero, dove gli album natalizi si sprecano ogni anno, da anni, praticamente da sempre. Ma nemmeno in Italia si brilla di originalità, perchè dischi dedicati al mercato natalizio ce ne sono stati, e anche migliori di quello della Pausini, tipo quello di Irene Grandi, Tiziano ferro, Mario Biondi… e altri.
Allora perché cimentarsi con una selezione di brani conosciutissimi da chiunque, già interpretati da mostri sacri del passato, e del presente, con risultati decisamente migliori, prestando il fianco a paragoni a volte impietosi?
Gli stessi Beatles, nei propri dischi natalizi per i fan, non si sognavano di mettersi a confronto con Bing Crosby o Frank Sinatra & Co. Si limitavano a “cazzeggiare” fra di loro con gags e battute, o intervistandosi a vicenda.
Che dire per tirare le somme? Posso solo dire che a Natale, dovendo essere tutti più buoni per tradizione, non darò un voto a quest’album… e lascerò che la gente, con il cuore pieno di un bianco e felice Natale, giudichi nel suo insieme, compreso nelle intenzioni (sicuramente in buona fede e fatte con spirito natalizio), questo disco, che sono certo in molti sceglieranno come cadeau natalizio. E così Buon Natale a tutti, buoni e cattivi (e tra questi forse ci sono anche io… ma non me ne vogliano i fan, anche la mia è buona fede) compresi.
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